Loading...

IN RISONANZA CON IL MONDO

01/01/2025

There is no greater agony than bearing an untold story inside you.

(Maya Angelou)

 

Julio ribatte ai miei messaggi con imperturbabile equilibrio e diplomazia: “hay que aguantar, Raffaela“, “paciencia“, “con calma y buen humor“. Accomunati da un incidente che ha cambiato radicalmente le nostre vite, io e Julio Flores Alberca, così lontani per molti aspetti, ci troviamo vicini più che mai quando parliamo del nostro diverso sentire e delle nostre passioni per l’arte. Un giorno gli ho chiesto se avrei potuto intervistarlo. Queste righe sono rimaste sospese per qualche tempo, prima di trovare finalmente respiro in questo blog. 


R:
Julio, grazie per voler partecipare a questo dialogo virtuale che mi propongo di condividere sul mio blog. Siamo in contatto da qualche tempo ormai. Cinque anni fa, hai tradotto e condiviso sul tuo blog il mio primo coming out e da allora il nostro contatto si è trasformato in un’amicizia e un supporto reciproco. Prima ancora di essere “persone con l’iperacusia” siamo “persone”.

Tu sei un musicista, un padre, un insegnante. Ho sempre ammirato la tua costanza nel tenere un blog sull’iperacusia, in tutti questi anni. Hai anche scritto un libro, partecipato a trasmissioni televisive di tipo medico-informativo, e collabori con la Hearing Health Foundation (https://hearinghealthfoundation.org/). Com’è percepita l’iperacusia, nel tuo paese? Com’è stata la reazione della tua famiglia e dei tuoi amici, alla comparsa dei sintomi più severi?

J: Hola Raffaela. Proprio così, ci sentiamo già da alcuni anni via chat, per la nostra convivenza con l’iperacusia e l’acufene. È stato un piacere condividere il tuo articolo sul mio blog, dove descrivi la tua esperienza con entrambe le condizioni. In particolare per il tuo legame con larte, dalla fotografia alla danza (il tango), che è segno di una sensibilità singolare verso tutto quello che sperimentiamo.

Le nostre esperienze con l’iperacusia sono molto simili, anche se viviamo in paesi con caratteristiche molto diverse, tu in Italia e io in Perù. In questo momento, nel mio paese un maggior numero di otorinolaringoiatri è a conoscenza dell’iperacusia, anche se superficialmente. Sicuramente, le persone in generale trovano ancora questa condizione uditiva strana o difficile da concepire e capire. Quando il mio disturbo si fece severo, nel 2006, nessun specialista ne sapeva nulla. La mia famiglia era sconcertata e non sapeva come aiutarmi. Non sapevano a chi rivolgersi. In più occasioni il sintomo fu erroneamente associato a disturbi psichiatrici.

R: La situazione mi è familiare . Di fronte a questo disturbo invisibile, raro e per il quale al momento non esiste una terapia risolutiva, i medici ripiegano facilmente sul “prendi questi antidepressivi e cerca di conviverci al meglio che puoi“. Purtroppo, questi farmaci sono quasi sempre ototossici e non vanno a risolvere la vera causa del problema. Spesso, anzi, sono controproducenti. 

Il nostro aspetto non rivela la battaglia per superare tutte le difficoltà del quotidiano. Le diagnosi mediche sono basate sulla nostra risposta personale allo stimolo sonoro. E il riscontro è di tipo individuale. Non esiste uno strumento o un esame, che sia indipendente dalla nostra diretta valutazione, che possa diagnosticare questo disturbo. Anche per questo viene con troppa superficialità interpretato come disturbo psicosomatico.

Mi hai raccontato che, nonostante un periodo di isolamento durante i primi anni di severità della condizione, non hai mai perso contatto con la tua musica. Come hai potuto farlo? E in quale modo pensi ti abbia aiutato a migliorare, con il tempo, la tua soglia di tolleranza sonora?

J: Come giustamente dici è una condizione che ad oggi non si può diagnosticare in modo oggettivo. Dipende da quanto manifesta il paziente. E agli occhi di chi è disinformato sulla patologia, può apparire come un’esagerazione, una suggestione, o una menzogna.

Il mio contatto con la musica è sempre stato vivo perché potevo percepire delle sonorità diverse in quello che era il mio acufene. Nel periodo in cui i sintomi erano più severi, non potevo ascoltare musica a nessun volume. Ho cercato quindi di sfruttare quello che sentivo come una musicalità interiore. Mi sono dedicato ad approfondire le origini di questo mio sentire. Questo mi ha dato la calma e la pazienza necessaria per gestire la mia ipersensibilità uditiva durante gli anni di isolamento, e mi ha messo sulla strada giusta verso il lungo processo di recupero che ne è conseguito.

R: Ho sempre trovato intrigante che tu percepisca un acufene musicale! Mi ricorda il libro “Musicofilia” di Oliver Sacks. Per me non è così e necessito dell’opposto di quanto giova a te: devo talvolta “mascherare” l’acufene con rumore bianco o suoni naturali dolci per dare un po’ di sollievo alla mente o riposare meglio.

Questa condizione ha effetti sulla persona a un livello molto profondo. Mi manca ancora la mia vita sociale. Sono qualcuno che sa stare bene da sola senza annoiarsi, ma che ama anche stare in compagnia. Come hai mantenuto i contatti con il tuo ambiente musicale, con i tuoi amici, con i colleghi dell’Università? Tuo figlio è stata fonte di una motivazione più forte per superare gli anni di isolamento forzato? Credi che sarebbe stato diverso, se fossi stato solo? In quale modo?

J: Sembra raro che l’acufene sia musicale, ma secondo una mia statistica di qualche anno fa, ho rilevato che il 64% delle persone contattate percepiva un tinnito musicale. (In questa percentuale non ho tenuto chiaramente in considerazione chi percepiva suoni musicali per effetto allucinatorio, trattandosi di tutt’altro fenomeno.) È altrettanto frequente, comunque, che le persone percepiscano un solo suono costante e acuto: deve risultare monotono, e più fastidioso.

Con i miei amici ho sempre mantenuto i contatti, per fortuna, sia virtualmente che di persona. Sono stato fortunato sia con la mia famiglia, che nelle mie amicizie e nel lavoro. Ho incontrato molta comprensione e appoggio. Anche di recente, che sto partecipando a una performance di teatro-danza, suonando strumenti a corda, mi sono state date tutte le agevolazioni, dal poter usare una protezione necessaria al potermi prendere delle pause di distacco durante le prove, se ne sento la necessità. Devo però anche confessare che, nell’ambito lavorativo musicale, in alcune situazioni (fortunatamente la minoranza), per la mia condizione uditiva sono stato ignorato o escluso da certi progetti musicali senza nessuna spiegazione.

Venendo alla presenza di mio figlio, il fatto che sia venuto a vivere con me è stato significativo. Il suo aiuto e il suo appoggio sono impagabili. È anche uno stimolo costante per cercare di migliorare. Il fatto che sia autistico (Asperger) ha fatto sì che molto spesso i miei problemi uditivi passassero in secondo piano. Se non fosse stato con me, magari sarei potuto migliorare ugualmente, ma mi sarebbe costato più tempo e lavoro. E avrei sofferto di più emotivamente perché, nei quasi quattro anni di isolamento, fu una preoccupazione costante il non poterlo aiutare da vicino. Ora mi sento più in pace con me stesso in rapporto a questo sentimento.

R: Immagino che, nell’ambiente musicale, iperacusia e acufene abbiano una sorta di “dignità” intoccabile. I disturbi uditivi sono molto comuni tra i musicisti. Suona perfettamente ragionevole che un musicista voglia indossare delle protezioni a seguito di un trauma acustico e a un conseguente danno.

Io vengo ancora assalita da sensi di colpa per quanto è successo. La meditazione mi ha aiutata e anche il fatto di leggere molto e restare in contatto con altre persone affette dalla stessa condizione (purtroppo solamente online, finora). “Perdonati per quello che non potevi sapere prima di averlo imparato”, ci insegna una delle mie più grandi ispiratrici, Maya Angelou. 

J: Si, è corretto quanto dici. I musicisti rientrano in una categoria ad alto rischio per i disturbi uditivi, e può risultare piuttosto comprensibile proteggersi, maggiormente ora rispetto a qualche anno fa. Tuttavia è sorprendente che all’interno di questo ambiente ancora ci siano persone che sottostimano questo rischio. Mi è capitato di conversare con un giovane musicista (amatoriale) a cui spiegavo l’iperacusia e l’importanza di proteggersi in ambito musicale durante le prove e i concerti. Lui riteneva che non proteggersi avrebbe reso sempre più forte il suo sistema uditivo. È da incoscienti, non si può fortificare qualcosa danneggiandolo.

Il sentimento di colpa di cui mi parli è qualcosa che accompagna tutti coloro che soffrono di queste condizioni, in un modo o nell’altro. E la verità è che non è di alcun aiuto. Io non ho provato nulla del genere in nessuno dei due incidenti acustici avuti. Ma l’ho provato durante diverse ricadute che avrei potuto prevenire se mi fossi protetto adeguatamente. Mi sono reso conto che non è di alcuna utilità dar peso a come è successo e pensare che avrei potuto proteggermi. Serve solo a tormentarmi ulteriormente. Quello che faccio ora, quando sento arrivare questo tipo di sentimento o ricordo, è bloccarlo e concentrarmi piuttosto su come stare meglio dopo la ricaduta.

R: Portare dei tappi o delle cuffie antirumore nel quotidiano, in contesti o situazioni in cui non è assolutamente la normalità, risulta un po’ “alieno” per gli altri, vero?

J: Sì. Per le strade, nei centri commerciali, negli incontri sociali attira molto l’attenzione della gente. Che si sorprende, poi, quando viene a sapere il motivo per cui si indossano queste protezioni. Per alcuni è proprio una situazione difficile da concepire.

R: A tuo avviso, quali sono i presupposti di base perché una persona con una forma invalidante di iperacusia e acufene possa vivere una vita che permetta un livello dignitoso di indipendenza economica, una rete di relazioni e una vita personale soddisfacente? Quanto peso hanno i fattori esterni sul successo di questo quadro generale? Hai fiducia sui progressi della scienza in merito alla ricerca di una cura che possa guarire questo disturbo?
Che cosa ti auguri per noi, che con te condividiamo questa condizione, nel resto del mondo?

J: Credo che per una persona che sta vivendo una condizione di invalidità severa dovuta a questi disturbi uditivi, sia necessario avere delle alternative professionali che contemplino le sue particolari necessità. E questo sia nel settore pubblico che nel privato. Questo richiede, chiaramente, una maggior concentrazione di casi nella popolazione in generale e la creazione di politiche sociali in questo senso. Forse ci vorrà molto tempo prima che questo diventi realtà.

Per quanto riguarda il resto, molto dipende anche dalla situazione in cui si trova a vivere la persona (in termini di contesto familiare e di amicizie) e anche il grado di severità e le possibilità e capacità di recupero di ognuno. È molto importante conoscere la propria reale situazione da un punto di vista medico e non averne paura, né vergogna. I recenti sviluppi scientifici in questa materia non avrebbero avuto luogo senza la voce dei pazienti, elemento indispensabile per poter fare dei progressi verso una cura per entrambe le condizioni. I passi che stanno compiendo sono promettenti, ma prima di arrivare a una terapia risolutiva ci vorrà ancora del tempo. Il mio più grande desiderio è che la nostra condizione possa essere più conosciuta e compresa. Non solo in ambito medico, ma anche in ambito pubblico, più generalmente (e questo include la famiglia e gli amici). Questo sarebbe già un passo significativo per alleviare parte della sofferenza che ci tocca vivere. In secondo luogo, vorrei che potessimo sempre incontrare le condizioni necessarie per intraprendere un certo grado di recupero della funzionalità uditiva e di adattamento, mentre siamo in attesa che venga scoperta una cura.

R: Grazie infinite, Julio. Ancora non sono sicura di quale sia il modo e il canale migliore per dare aiuto, informare, far cambiare le cose. Mi sento meno brava di te, in questo. Di sicuro il silenzio non porta a nulla. Mentre le parole rimangono come una testimonianza.

Incrociamo le dita affinché la nostra sia una voce che non rimane inascoltata. I migliori e i più cari auguri a te e a tuo figlio Daniel, perché possiate realizzare i vostri sogni.✦

 

© Raffaela BicegoTutti i diritti riservati


Immagine di copertina: © Alexander Kovalev

CONTATTI:

+39-346-3897088

info@raffaelabicego.com

Raffaela
HAPPY-GO-LUCKY
La felicità è una cosa semplice.
FINDING YOUR FEET
Quando cadere al buio diventa fondamentale per ricominciare.
SUR-FACE
La superficie che non è superficiale: immagini e riflessioni su qualcosa che ci "tocca" da molto vicino.

    Leave a comment

error: Content is protected !!